La forza dirompente del digitale
Le nuove tecnologie fanno tabula rasa della vecchia organizzazione aziendale.
“Il Turismo è il petrolio dell’Italia”. Troppe volte abbiamo sentito questa frase ripetuta come un mantra che, però, non ha sortito l’effetto di materializzare il concetto.
Il Turismo in Italia rappresenta circa il 6% del Pil che aumenta fino al 14% se prendiamo in considerazione le proiezioni che tengono conto anche dell’indotto.
Come mai, quindi, sulla scia della pandemia, sempre più Persone hanno “colto l’occasione” per abbandonare il mondo degli alberghi e dei ristoranti a favore di altri settori, primi fra tutti l’edilizia ed il retail?
Non esiste una risposta secca ma, anche se lo spazio non è sufficiente a trattare esaustivamente il fenomeno, proveremo a lanciare degli spunti di riflessione.
Per quanto l’economia italiana, ed in particolar modo quella della Penisola Sorrentina, giri intorno al Turismo, non si è mai sviluppata una prassi aziendale che abbia premiato il bagaglio di competenze che sono, invece, oggi più che mai indispensabili per affrontare le sfide del futuro. In realtà si tratta di sfide del passato che, non essendo state mai affrontate, sono giunte irrisolte ai tempi d’oggi.
Non è un caso, infatti, che le figure maggiormente richieste sul mercato del lavoro siano non solo quelle legate al digital marketing ed al social media marketing, ma alla tecnologia in generale.
Uno dei maggiori problemi è che molte aziende ancora non riescono ad avvertire la necessità di queste figure professionali che sono di fondamentale importanza per l’evoluzione delle imprese non solo turistiche, ma anche del retail. Non possiamo essere ancora oggi ancorati all’idea che un’attività commerciale possa sopravvivere solo con il cosiddetto “negozio fisico”.
Un altro problema è che i top player, invece che come esempi da seguire, vengono visti come il nemico da abbattere; coloro che sono la causa del nostro insuccesso.
Così, invece di progredire, chiediamo ad alta voce che siano gli altri a rallentare come chiesto a più riprese al Governo da varie associazioni di categoria. Il nemico a volte è TripAdvisor, a volte Booking, a volte Amazon. Si lotta contro il ribasso dei prezzi, contro le commissioni, contro le politiche commerciali “aggressive”, ma alle lamentele non segue una presa di coscienza ed un cambio di marcia.
È giunto il momento di tornare a chiedere ai nostri giovani di formarsi, di essere curiosi e di appassionarsi al lavoro. Questo può avvenire solamente con delle prospettive di crescita chiare. Solo grazie ad un sistema che veda la progressione di carriera non in base all’anzianità, ma alle competenze ed a risultati chiari e tracciabili.
Da tempo si sente parlare di “lifelong learning”, la formazione che dura tutta la vita, la consapevolezza che i tempi cambiano e che, grazie alla formazione, possiamo “tenere botta”. Oggi si sono affermati altri due termini: upskilling e reskilling. Il primo indica il miglioramento delle nostre skills, delle nostre competenze, ed il secondo, invece, una riqualificazione finalizzata a cambiare lavoro.
Stiamo assistendo ad un cambio epocale nel mondo del lavoro dove una parte sempre più importante è giocata dai “robot” intesi come sistemi di automazione. Grazie ai big data ed all’AI (Intelligenza Artificiale) il lavoro può essere sempre più efficiente e l’essere umano può avere sempre più tempo per vivere una vita adeguata all’unicità dell’esistenza umana.
Basta guardare indietro di qualche secolo per appurare che rispetto ad un’aspettativa di vita di circa 30 anni, la metà dell’esistenza era occupata da attività lavorative mentre oggi, a fronte di una vita media di 70 anni, circa un decimo viene occupata dal lavoro. Questa tendenza è destinata ad andare avanti. Se è vero, com’è vero, che la vita è una, perché “sprecare” tempo a svolgere un’attività con il solo scopo di procurarsi indispensabile per “sopravvivere”, soprattutto considerando che la maggior parte dei lavori è eseguibile con maggiore efficienza da una “macchina”?
La società sta evolvendo e sta riscoprendo un nuovo “romanticismo” che mette l’essere umano al centro. Un essere umano che vuole per sé compiti intellettualmente elevati, professionalizzanti, che non possono essere svolti da una macchina. Così come i “principi” hanno relegato alla plebe i lavori “di fatica”, più umili, oggi l’umanità tutta desidera vestirsi di nobiltà e delegare alle macchine i lavori ripetitivi, privi di creatività e capacità particolari e, per questo, poco retribuiti.